Dialoghi di attivismo con Moctar Mariko, magistrato, attivista e Presidente di AMDH, la prima associazione maliana per i Diritti Umani
Non c’è pace senza giustizia (Moctar Mariko)
Moctar Mariko è un magistrato e Presidente della prima associazione maliana per i Diritti Umani (AMDH), creata nel 1986 sotto il regime del generale Moussa Traoré (Presidente del Mali tra il 1968 e il 1991).
Al momento della sua creazione, l’associazione si occupava di difendere i diritti dei detenuti, organizzando visite ai carcerati nei commissariati. Oggi l’AMDH, che fa parte della FIDH e della Commissione africana dei diritti umani, interviene attivamente in difesa di chiunque abbia subito violenza o visto i propri diritti negati. L’associazione si batte contro gli abusi economici e sociali perpetuati dal potere pubblico e che impediscono alle persone di emanciparsi, di vivere e di progredire.
Dal 2012 il contesto maliano è molto cambiato a causa di una ribellione armata, composta da militari appartenenti alla milizia di Gheddafi e che, di ritorno in Mali, attaccarono le tre Regioni nel nord del paese. Durante questa occupazione numerose sono state le violazioni dei diritti umani come il caso del campo militare di Aguelhock dove 153 militari maliani sono stati trucidati dal Gruppo Ganda Iso, figlio del paese in sonrai. Questo caso, grazie all’AMDH, è giunto alla Corte Penale Internazionale affinché giustizia sia fatta.
Moctar Mariko denuncia le molteplici uccisioni e infrazioni a sfondo sessuale compiute in Mali negli ultimi anni: moltissime donne sono state violentate soprattutto nella Regione di Tombouctou. Questi stupri sono la conseguenza, in molti casi, di matrimoni forzati: si decide che una bambina debba essere data in sposa ad un terrorista, ma durante la notte viene violentata da più persone. Si è assistito a stupri collettivi organizzati e a crimini contro l’umanità perpetuati da questi gruppi armati.
L’AMDH ha potuto accompagnare 120 donne nel processo di denuncia di stupro. Sfortunatamente, questi dossier fanno fatica ad avanzare, in un paese, come il Mali, dove la lotta all’impunità è ancora una battaglia ardua e difficile a causa delle molte implicazioni politiche.
L’AMDH ha inoltre supportato lo stato maliano a citare in giudizio presso la Corte Penale Internazionale, Al Hassan Ag Abdoul Aziz Ag Mohamed Ag Mahmoud, per i crimini commessi al nord circa la distruzione di mausolei e per aver partecipato alla politica dei matrimoni forzati delle donne di Tombouctou che ha portato a ripetuti stupri e alla riduzione di donne e ragazze a schiave sessuali. La CPI ha condannato Ahmad Al Faqi Al Mahdi a nove anni di reclusione in quanto coautore di crimini di guerra.
L’associazione ha citato in giudizio anche Mahamat Aliou Touré, ex capo della polizia islamica a Bamako per la ripetizione della violazione dei diritti umani. Soprannominato il “tagliatore di mani”, durante l’occupazione della città di Gao, nel 2012, Mahamat era l’addetto al taglio di mani e piedi dei presunti ladri e alle fustigazioni pubbliche delle donne che non portavano il velo. Mariko, avvocato delle vittime, ha fatto condannare Touré a dieci anni di prigione.
Il Mali è un paese dove tradizionalmente tutto si regola nel vestibolo di casa, o sotto i grandi manghi o i baobab. Ma come è possibile, si chiede il magistrato, che qualcuno che ha visto la propria figlia o moglie stuprata possa sedersi attorno alla stessa tavola del colpevole e perdonarlo, senza aver visto alcun sentimento di pentimento? Non si può avere la pace senza la giustizia, per questo diventa necessario un cambio di politica che renda effettiva e concreta questa giustizia.
Moctar Mariko resta comunque ottimista ed in quest’ottica l’AMDH, con il supporto di altri partner internazionali, ha organizzato diverse formazioni a magistrati per rafforzare le loro competenze e contribuire in questo modo ad un cambio di direzione.
Un tema ancora delicato resta quello del ruolo dei religiosi e della separazione tra stato e religione. Attualmente si pensa a nuova rifondazione dello stato maliano basato sul un concetto di laicità che trova fondamento anche nella tradizione del paese. Il Mali è infatti da sempre un mix di popolazioni unite pacificamente attraverso alleanze matrimoniali, ma per migliorare la coesione sociale il grande cambiamento, secondo il magistrato, è fondamentale educare le nuove generazioni.
In Mali, AICS interviene da alcuni anni con programmi di emergenza nelle zone più toccate dalla crisi, fornendo una risposta rapida ed efficace, in grado migliorare le condizioni di vita delle popolazioni e di rafforzare la resilienza delle vittime delle crisi umanitarie. Al centro dell’azione di AICS in Mali, i bisogni reali delle popolazioni colpite dalle crisi e le istanze provenienti dalla società civile e dalle istituzioni locali (needs-based approach).
In linea con gli impegni assunti dall’Italia al Vertice Umanitario di Istanbul, l’aiuto umanitario italiano si concentra su priorità quali la protezione degli sfollati, richiedenti asilo, rifugiati/e, il sostegno alle comunità ospitanti, con specifico riferimento al rafforzamento della resilienza; l’accesso ai servizi essenziali delle popolazioni civili in situazioni di conflitto e post-conflitto, con particolare riferimento a donne, ragazze, minori; l’inclusione delle persone con disabilità e delle tematiche di genere nell’aiuto umanitario; la violenza sessuale e di genere nelle situazioni di conflitto e la prevenzione e la riduzione del rischio da disastri.
In conclusione, citando ancora Mariko, bisogna valorizzare gli aspetti positivi di un paese, come il Mali, che si basava sul rispetto reciproco, il dialogo, l’accoglienza, le grandi tradizioni e la cultura millenaria, senza però dimenticare che, senza una reale applicazione della giustizia o avendo casi di impunità si potrà mai riavere la pace e la coesione sociale tra la popolazione.
A cura di Claudia Berlendis