Djeneba Mariko Diop

Dialoghi di attivismo con Djeneba Mariko Diop, giurista e Presidentessa dell’Associazione per la Protezione e la Promozione dei Diritti delle Donne e dei Bambini (APRODEFE), femminista.

Da alcuni anni, Djeneba Mariko Diop, Presidentessa dell’Associazione per la Protezione e la Promozione dei Diritti delle Donne e dei Bambini (APRODEFE), si batte in Mali in difesa dei più vulnerabili contro lo sfruttamento minorile, in particolare quello delle bambine che lavorano come collaboratrici domestiche, sia sui siti di estrazione aurifera che in ambito urbano e rurale.

Nel giugno 2011, il governo del Mali ha adottato un piano d'azione nazionale per l'eliminazione del lavoro minorile e questo costituisce una tappa importante di cambiamento, ma la sua attuazione è stata ritardata e poche le azioni concrete.  Ai sensi della normativa sul lavoro in Mali, i bambini non possono essere impiegati in alcuna impresa, neppure come apprendisti, prima dei quattordici anni, salvo deroga scritta emessa con decreto del Ministro del lavoro, tenuto conto delle circostanze e dei compiti locali. Con poche eccezioni, una legge sulla protezione dell'infanzia fissa l'età minima per l'ammissione al lavoro a 15 anni. Tuttavia, consente ai bambini di età compresa tra 12 e 14 anni di svolgere lavori domestici leggeri o di natura stagionale e limita il loro numero di ore lavorative, ovvero, è proibito che un bambino lavori per più di otto ore al giorno e le ragazze tra i 6 e i 18 anni non possono lavorare più di sei. Tuttavia la legge non soddisfa gli standard minimi internazionali sulla proibizione del lavoro forzato, dell'impiego di bambini in attività illecite e del reclutamento militare da parte di gruppi armati non statali.  In tal senso, le miniere artigianali non sono soggette a regolari ispezioni del lavoro e il divieto del lavoro minorile non è applicato.  Secondo la legge maliana e internazionale, il lavoro pericoloso, che include il lavoro nelle miniere e con il mercurio, è vietato ai minori di 18 anni. Ciononostante, secondo l'UNHCR, attualmente sono circa 20.000 i bambini che lavorano in otto siti minerari del paese. Nel settore dell'estrazione artigianale dell’oro, secondo la Confederazione Internazionale dei Sindacati, i bambini lavorano in condizioni estremamente dure e a contatto con il mercurio, sostanza tossica usata per separare l'oro dal minerale. Le bambine sono impiegate ancor più precocemente dei bambini in questo settore e con un carico di lavoro maggiore. Inoltre, più dei ragazzi, sono vittime di violenza, sottopagate o non pagate.  Djeneba Mariko Diop si adopera per proteggere bambine e ragazze, sensibilizzarle sui propri diritti e supportarle nel loro processo di autonomizzazione.

In Mali e in altri cinque paesi della regione (Senegal, Guinea, Guinea Bissau, Gambia e Niger), l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) finanzia il Progetto di sostegno alla protezione dei minori vittime di violazione dei diritti umani  (PAPEV), un programma regionale implementato da OHCHR (United Nations Commissioner for Human Rights). Tra gli obiettivi, sostenere gli Stati membri dell’ECOWAS nello sviluppo di politiche e programmi nazionali che mirano alla protezione dei minori vittime di abuso e sfruttamento e accompagnare l’ECOWAS nello sviluppo di una strategia di promozione e protezione dei diritti dei bambini in linea con gli SDGs (Sustainable Development Goals) e le convenzioni internazionali sulla tematica (CRC, CADBE e CEDAW). Il PAPEV sta realizzando attività di sostegno all’adozione degli strumenti giuridici regionali e internazionali per la protezione dell’infanzia, attività di advocacy per l’accompagnamento alle riforme giuridiche e la realizzazione di campagne di comunicazione nazionali per sensibilizzare le popolazioni sulle riforme legislative in corso.

Djeneba Mariko Diop, giurista di professione, si è dedicata alla vita associativa in difesa dei più vulnerabili. Subito dopo la laurea in diritto, è stata segretaria esecutiva dell’associazione in difesa dei diritti dei bambini con deficit uditivi in ambito scolastico, creando poi l’APRODEFE, l’associazione di cui è Presidentessa. Una scelta che l’ha messa di fronte a non pochi ostacoli in una società conservatrice come quella maliana, dove molti sono gli stereotipi su chi fa dell’attivismo, spesso additato di andare contro la tradizione e la cultura. Inoltre, in Mali, il ruolo della donna, è spesso relegato all’ambito domestico e di cura. Quando una donna mira a ricoprire un ruolo politico attivo nella gestione della comunità, viene molto criticata. Serve dunque eradicare stereotipi, miti e pregiudizi, come Djeneba Mariko Diop tenta di fare quotidianamente, raccontando, ad esempio, il ruolo attivo delle donne nel processo di riconciliazione e pace che in Mali va avanti dal 2012. La giurista è il punto di riferimento della Commissione Verità, Giustizia e Riconciliazione (CVJR) del distretto di Bamako, nelle regioni di Kayes e di Koulikoro, che ha un mandato di difesa dei diritti umani dal 1960.

Il Ministero maliano per la promozione della donna, la famiglia e la protezione dei bambini, attraverso il Comitato nazionale di monitoraggio delle azioni per combattere la tratta, lo sfruttamento e il lavoro minorile (CNS),  il Ministero della Giustizia attraverso i vari tribunali, il Ministero della Sicurezza attraverso la Brigata per la Protezione della Morale e dei Bambini della Polizia Nazionale,  l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale attraverso il suo servizio sanitario e il Ministero del Lavoro e la Funzione Pubblica attraverso l'Ispettorato del lavoro hanno condiviso la responsabilità dell'applicazione delle leggi sul lavoro minorile. I meccanismi di coordinamento inter-istituzionale restano però inefficaci e complessi e le risorse, le ispezioni e le azioni correttive, insufficienti. A rendere più complessa la situazione è la crisi politica innescata dal colpo di stato nell’agosto 2020, al quale è seguita la nomina di un governo, sciolto nuovamente dopo la destituzione del presidente da parte di militari nel maggio 2021. Accanto alla crisi di governo, lo stesso periodo è stato marcato dalla pandemia di Covid-19.

L’esempio di Djeneba Mariko Diop dimostra di come il cambiamento debba partire dal basso, dalle autorità locali, tradizionali, religiose e non essere imposto dall’alto. Attraverso il supporto all’autonomizzazione delle ragazze e alle OSC locali si potrebbe raggiungere un impatto più efficace di promozione dell’uguaglianza di genere e di difesa dei diritti umani.

A cura di Claudia Berlendis
Coordinatrice PAESE – MALI
AICS Dakar

Abdoulaye Diop

Ginecologo, ostetrico, ecografista e blogger, Abdoulaye Diop è molto attivo e seguito sui social network con una pagina Facebook, un canale YouTube e due blog. Il suo motto è "educare le donne per educare il mondo".

Abdoulaye Diop è un medico impegnato nella promozione del benessere delle donne sia come ginecologo che come blogger. Utilizza attivamente i social network per sensibilizzare su questioni legate alla salute materna e infantile, per fornire semplici informazioni sulle principali patologie che le donne devono affrontare e per combattere pratiche nefaste come le mutilazioni genitali femminili (MGF) e violenze basate sul genere (VBG).

In quanto attivista, i social gli permettono di parlare di argomenti tabù per eradicare falsi miti e, soprattutto, fare informazione. Tra questi l'infertilità, un argomento poco conosciuto e per il quale, in Senegal, non si hanno dati ufficiali. Lo incontriamo nella boutique de Droits nel quartiere Medina, a Dakar. Ci spiega subito che in Senegal, in caso di infertilità nella coppia, sono spesso le donne ad essere accusate di esserne all’origine. Per questo motivo, spesso, vengono isolate dalla famiglia o sono costrette a divorziare o ad accettare delle co-spose.

Riguardo a questo tema, il Dott. Diop cerca di sensibilizzare la comunità su come gli uomini siano coinvolti quanto le donne. La difficoltà maggiore che incontra lavorando su questi aspetti è la resistenza da parte di alcuni uomini che, troppo spesso, rifiutano di sottoporsi ad esami specifici. È importante quindi, secondo lui, dialogare con le coppie per spiegare le cause dell'infertilità e le possibili soluzioni, come per esempio la riproduzione medicalmente assistita (PMA). Tuttavia, secondo il Dottor Diop, oltre ad essere poco conosciuta, la PMA, in Senegal, è effettuata quasi esclusivamente nel settore privato e a prezzi spesso elevati, non accessibile alla maggior parte della popolazione.

Inoltre, il Dottor Diop riceve regolarmente nel suo studio pazienti con patologie conseguenti ad aborti non sicuri (cosciuti anche come aborti clandestini), quali emorragie, dolori e, a volte, sterilità.

Le statistiche, anche se difficili da ottenere, poiché l'aborto è vietato nel paese, stimano che in Senegal nel 2020 siano stati effettuati più di 34.000 aborti non sicuri, a causa dei quali, molte ragazze e donne perdono anche la vita[1]. L’aborto clandestino è tra le principali dieci cause di mortalità di una donna nel primo trimestre di gravidanza.

Per ridurre il tasso di mortalità e morbilità degli aborti, il Dr. Diop suggerisce la necessità di un miglioramento della legge per autorizzare l’aborto medico nei casi di stupro, incesto o nel caso di un feto con una malformazione incompatibile con la vita. Anche se il Senegal ha ratificato il Protocollo di Maputo, l’aborto medico è permesso solo in caso di rischio per la vita della madre, con una procedura molto lunga e complessa che richiede l’autorizzazione di altri due medici, oltre al curante, uno dei quali scelto dal tribunale competente.

Nel quadro del Progetto di Sostegno alla Strategia Nazionale per l’Uguaglianza e l’Equità di genere (PASNEEG), finanziato da AICS, un comitato tecnico è stato istituito dal Ministero senegalese della Giustizia per proporre l’armonizzazione della legislazione nazionale con gli strumenti giuridici internazionali e regionali ratificati dal Senegal. Con il PASNEEG II, AICS sta coordinando un piano di advocacy con altri partner tecnici e finanziari per dare impulso e promuovere la revisione delle leggi discriminatorie (codice di famiglia, codice penale, codice etico) con i parlamentari e il Ministero della Giustizia e per combattere l'impunità nei casi di stupro e pedofilia promuovendo l'applicazione della legge del 10/01/2020.

Un altro grande tabù di cui parla Diop è il piacere femminile. Molte sono le donne che usano degli escamotage (a volte pericolosi per la salute) per aumentare il piacere del loro partner. Queste pratiche fanno parte del concetto senegalese di "diongué", ovvero l’arte della seduzione, che mira soprattutto a soddisfare il proprio marito, includendo, naturalmente, il piacere sessuale. Purtroppo, alcune di queste pratiche sono potenzialmente pericolose e hanno ripercussioni sulla salute delle donne, come l'inserimento di polveri, incensi, creme o piante nell’apparato genitale. L'uso di queste sostanze può portare a infezioni e/o lesioni delle mucose aumentando il rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili (come l'HIV) e/o forme tumorali[2].

Il Dottor Diop, proprio per sensibilizzare su questi aspetti e che hanno conseguenze dannose sulla salute delle donne, ha lanciato l'hashtag #LeVaginNestPasUneCuisine (la vagina non é una cucina).

Il progetto "Essere Donna", finanziato da AICS ed implementato da COSPE, mira a migliorare la salute sessuale e riproduttiva delle donne nella regione di Sédhiou in Casamance sostenendole nell'esercizio dei loro diritti. I problemi legati alla salute sessuale e riproduttiva sono numerosi e riguardano la mortalità materna e infantile; le gravidanze precoci indesiderate e la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili. Inoltre, ancora purtroppo diffuse pratiche di mutilazioni genitali, matrimoni precoci e violenze. Le donne faticano ancora a decidere del proprio corpo e non hanno, a volte, l'autonomia per gestire le risorse economiche da destinare alla salute. COSPE è impegnata nel supporto a gruppi di donne che si occupano di sensibilizzazione sulle questioni relative al potere decisionale su salute, malattie i rischi di parti in casa, VBG e pratiche dannose su minori.

Si comincia inoltre a parlare di violenza ostetrica. Da un punto di vista culturale e simbolico, il rapporto tra chi assiste e chi è assistito è molto squilibrato. È in questo squilibrio che si stabilisce la violenza. Il Dottor Diop definisce la violenza ostetrica come tutti gli atti, le parole e i comportamenti del personale medico verso le pazienti, durante una consultazione ginecologia e/o che vanno dalla mancanza di rispetto all’abuso vero e proprio, causando un trauma nelle pazienti. Il personale medico e paramedico, conclude Diop, deve essere sensibilizzato perché, il più delle volte, non vi è consapevolezza reale del problema.

A cura di Eugenia Pisani

 

[1] https://www.ndarinfo.com/Avortements-au-Senegal-34-079-cas-recenses-en-2020_a32536.amp.html

[2] Pour plus d’info : https://ikambere.com/images/ressources/livre-pratiques-sx-ikambere.pdf

Fatou Warkha Samb

Dialoghi di attivismo con Fatou Warkha Samb, giornalista, regista, creatrice della piattaforma Warkha TV, Vicepresidentessa del collettivo Dafa Doy, femminista.

È una giornata calda, nonostante il vento. Ho riletto ancora una volta, Manifesto di Rivolta Femminile, di Carla Lonzi, un’istituzione del femminismo italiano. Ci prepariamo ad incontrare Fatou Warkha Samb, in prima linea nella lotta per i diritti delle donne in Senegal. La Samb si è fatta conoscere per il lavoro di informazione svolto tramite i suoi canali social ma anche per la presenza costante nei salotti tv, dove è spesso l’unica donna a doversi confrontare con più uomini su temi legati alle donne. Attraverso WarkhaTV, la piattaforma da lei lanciata, ha fatto dell’attivismo una priorità, contribuendo a sollevare il velo di omertà sulle violenze su donne e bambini.

In Senegal, oggi, si parla sempre più di femminismo e diritti e questo grazie anche alle femministe come lei che non hanno paura di sfidare pregiudizi e sistemi culturali. La incontriamo, al Museo della Donna Henriette-Bathily, a Dakar, dove sono affisse fotografie di donne che hanno marcato la storia del paese: Andrèzia Waz, prima Presidentessa alla Corte di Cassazione; Dior Fall Sow, prima Procuratrice della Repubblica; Mame Bassine Niang, prima avvocatessa; Maty Diagne, prima paracadutista militare; Sokhna Dieng, prima Direttrice della TV nazionale.

Entriamo subito nel vivo del dibattito. “La pratica del femminismo è essenziale” chiarisce “e per me ha voluto dire fare della mia professione, di giornalista e realizzatrice, un mezzo di lotta contro le diseguaglianze e di promozione dei diritti delle donne. Come? Creando contenuti”.  Una militanza quotidiana nata in un ambiente in cui le diseguaglianze erano e sono, purtroppo, presenti. “Con il mio esempio voglio mostrare che i limiti imposti possono essere superati e che questo messaggio può essere divulgato. Essere donna non dovrebbe essere un freno, ben il contrario”, precisa la Samb.

Le chiedo se secondo lei si può parlare di un movimento femminista senegalese. “Sì” risponde “anche se non strutturato ma fatto di individualità, di giovani donne impegnate. C’è ancora molta ignoranza legata al tema, eppure cos’è, l’essere femminista? È promuovere i diritti delle donne ed essere coscienti, in quanto tali, di quello che possiamo fare, delle nostre capacità”.

Dafa Doy. Jamais plus ça! I social network sono stati fondamentali nell’attivismo femminista senegalese, non solo grazie alla divulgazione di contenuti specifici, ai grandi numeri raggiunti o alle lunghe distanze coperte, ma anche alla possibilità di esprimersi in anonimato, cosa non da poco, in una società dove vige la sutura (discrezione). Fatou W. Samb è tra le fondatrici e Vicepresidentessa del collettivo Dafa Doy,  nato in seguito allo stupro e all’omicidio, nel 2019, di Binta Camara, 23 anni, e di altri casi di stupro. “Dafa Doy è nato in maniera spontanea perché, in quel periodo, in molti condividevano un bisogno di dire “basta”. Basta alle violenze. Basta agli stupri impuniti” specifica la giornalista.

Il 25 maggio 2019 il collettivo ha organizzato un sit-in contro le violenze su donne e bambini a cui in molti hanno aderito. Anche a seguito di questa mobilitazione, il 10 gennaio 2020 è stata promulgata la legge n.2020 -05 che inasprisce le pene per stupro e pedofilia. Secondo le statistiche del 2019, il Senegal ha registrato 668 casi di violenza su minori, 206 aggressioni a sfondo sessuale, 15 femminicidi e più di 1200 casi di stupro[1].

L’accesso alla giustizia è qui un bisogno reale e urgente per migliaia di donne. Nell’ambito del progetto PASNEEG I e PASNEEG II, AICS sostiene le Botteghe del Diritto, strutture gestite dall’Associazione delle Giuriste Senegalesi (AJS) divenute oggi punti di riferimento imprescindibili nella lotta alle violenze di genere. In questi centri di promozione e protezione dei diritti delle donne presenti a Dakar, Kaolack, Kolda, Thiès, Sédhiou e Ziguinchor vengono offerte consultazioni legali gratuite ed un orientamento verso servizi specializzati. Un appoggio legale ma anche psicologico, di reinserimento sociale ed economico. Il progetto  prevede inoltre di rafforzare il dibattito con i professionisti dei media, attraverso formazioni e panel dedicati, come quello organizzato a dicembre 2020 presso una nota scuola di giornalismo di Dakar, incentrato su contenuti mediatici legati alle VBG e discriminazione nei confronti di donne e ragazze. Un impegno concreto per rendere accessibile il diritto, sensibilizzare, plasmare nuove attitudini e cambiare comportamenti.

Femministe sotto attacco. “C’è chiaramente paura del cambiamento in corso. Paura di una presa di coscienza collettiva da parte delle donne e del peso, politico, sociale e culturale che questa presa di coscienza implica” afferma la Samb, e continua: “Sempre più donne trovano il coraggio di affermarsi, di dire ciò che pensano, di rivendicare i propri diritti e, soprattutto, di denunciare. Gli attacchi arrivano perlopiù da uomini che probabilmente temono una rottura con un sistema che li ha finora privilegiati.”

Poter scegliere. Per Fatou W. Samb, il femminismo dovrebbe uscire da un piano teorico e diventare pratica. Identificare i propri obiettivi e raggiungerli. Dichiararsi femminista non basta, bisogna esserlo nel quotidiano, attraverso le proprie azioni e il proprio vissuto. “Mi chiedo ogni giorno cosa posso fare in quanto femminista” conclude la Samb “Oggi ci sono vittime di stupro o di incesto che vorrebbero poter abortire e non possono. Questa è la nostra pratica, poter garantire a queste vittime la possibilità di scegliere ma non solo, anche spiegare, in maniera semplice, cosa si intende per diseguaglianze o quali sono i diritti di ciascuno. Divulgare è lotta. Infine, serve un’effettività sulla tanto decantata parità. Fin da quando sono piccola ci hanno fatto credere che fosse cosa scontata. Purtroppo non è così e solo la pratica del femminismo potrà contribuire a renderla effettiva qui come altrove”.

Warkha TV sta realizzando al momento una serie di trasmissioni in wolof, la lingua locale più parlata, per spiegare gli impatti positivi della parità di genere sullo sviluppo, nell’ambito del progetto PASNEEG II.

A cura di Chiara Barison

[1] Fonte: https://africa.unwomen.org/fr/news-and-events/stories/2020/02/criminalistaion-du-viol--au-senegal

PAPEV: un progetto per dare spazio ai bambini affinché si approprino dei loro diritti

L’11 ottobre si celebra la giornata internazionale delle bambine e delle ragazze. Tra vari aspetti della protezione dell’infanzia, porre fine ai matrimoni precoci fa parte degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) da raggiungere entro il 2030. In Mali e Senegal, il tasso di matrimoni precoci è infatti allarmante: in entrambi i paesi l’8 % delle ragazze si sono sposate da prima di avere 15 anni, e rispettivamente 53% e 33% prima di averne 18 (Maliweb, 2020 e World vision, 2016).

Lo scorso 20 Settembre si è tenuto a Bamako un workshop di consultazione sull’appropriazione della Carta Africana dei diritti e del benessere dell’infanzia. Un evento promosso da AICS attraverso il Progetto di sostegno alla protezione dei bambini vittime di violazioni (PAPEV). In quest’occasione si sono riuniti gli attori statali, il parlamento dei bambini, i media e le ONG.

Il workshop ha portato a una serie di raccomandazioni e messaggi tra cui la necessità di aumentare la consapevolezza dei genitori rispetto alla scolarizzazione e contro i matrimoni precoci; fare attività di advocacy presso le ONG e le autorità nazionali per il rispetto del principio di non discriminazione; un appello al rafforzamento del sistema sanitario per combattere la mortalità e le malattie dell’infanzia; la registrazione delle nascite; il bisogno di sensibilizzare le comunità sul rispetto della libertà di espressione, di associazione, di pensiero e religione.

Il Presidente del Parlamento dei bambini, Nouhoum Chérif Haidara, ha dichiarato che, eventi di questo tipo, permettono ai giovani di appropriarsi del contenuto della Carta Africana dei diritti e del benessere dell’infanzia. Non solo, grazie al confronto e allo scambio, possono essere formulate raccomandazioni che garantiscono i diritti all’infanzia in Mali.

Claudia Berlendis, Coordinatrice dell’ufficio AICS a Bamako, ha sottolineato come l’articolo 12 della convenzione insista sulla visibilità dei bambini come un diritto in sé, e di come l’applicazione di tale articolo implichi un ripensamento dello status dei bambini nella maggior parte delle società, e allo stesso modo, del rapporto adulto/bambino.

Sono intervenuti inoltre, Selma Mansouri, rappresentante dell’Alto Commissariato dei diritti umani (OHCHR) in Mali e Diéminatou Sangaré, portavoce del Ministero maliano della Salute e dello Sviluppo sociale.

Si ricorda che il 2 settembre scorso, a Dakar, si è tenuto un incontro che ha coinvolto AICS, OHCHR, il Ministero della giustizia senegalese e i rappresentanti dell’ONG Lumière a Kolda. L’ONG ha ricevuto materiale utile al sostegno delle case di accoglienza (letti, materassi, lenzuola, attrezzature socio-educative, prodotti per l'igiene e la pulizia) che permetteranno così di accogliere fino a 50 bambini, grazie al supporto del PAPEV. Durante quest’incontro si è evidenziato inoltre il lavoro fatto dal progetto per i diritti dell’infanzia soprattutto in un periodo difficile segnato dalla pandemia di Covid-19.

Si ricorda che Il PAPEV coinvolge sei paesi nell’Africa Occidentale.

A cura di Livia CESA
UNDESA Fellow

Forum mondiale dell’acqua, in Senegal con Aics

Forum mondiale dell’acqua, in Senegal con Aics


Si è concluso a Dakar, Senegal, la nona edizione del World Water Forum, organizzato dal Conseil Mondial de l'Eau (CME), un think tank internazionale nato in Francia nel 1996. Il tema principale di quest’anno è stato la gestione transnazionale dei bacini idrici, incluse le falde, tema sempre più centrale per rinvigorire la water diplomacy.

«questo 9° World Water Forum ci offre l'opportunità dare l'allarme sulla gravità della situazione della sicurezza idrica affinché le questioni legate all'acqua rimangono al centro della comunità internazionale», ha dichiarato il presidente senegalese Macky Sall. «Parliamo della vita e della salute di miliardi di persone. Ma anche della preservazione della pace e sicurezza globale».

Fittissima agenda di conferenze, workshop e plenarie. Dagli impatti del cambiamento climatico sulla water scarcity ai casi di successo di gestione transfrontaliera dei corpi idrici fino al focus sulle acque sotterranee, tema di quest’anno della Giornata Mondiale dell’acqua. Secondo gli organizzatori sono quattro gli scopi del forum: informare i decisori politici sulle questioni idriche, creare una visione condivisa sulle soluzioni alle problematiche, dare visibilità mediatica al tema della sicurezza idrica e sostenere l’avanzamento dei goal dello sviluppo sostenibile ONU.

Importante la presenza di delegati africani che hanno portato all’attenzione numerosi problemi, in particolar modo sul tema WASH (water, sanitation, hygene) per il quale è stato realizzato un apposito spazio esterno per incontri con la società civile e i giornalisti. Il tema dell’accesso all’acqua e ai servizi sanitari è di pari importanza di quello della cooperazione nella gestione delle acque transfrontaliere» ha dichiarato il segretario esecutivo del World Water Forum, Abdoulaye Sène.


Dakar declaration | A « Blue Deal »  for water security and sanitation for peace and development 
Déclaration de Dakar | Un « Blue Deal »  pour la sécurité de l'eau et l'assainissement pour la paix et le développemnet 

È  stata una presenza importante quella dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) a Dakar, alla nona edizione del Forum mondiale dell’acqua, per la prima volta ospitato in un Paese dell’Africa subsahariana, presentando una serie di progetti e di success stories che hanno raccontato dell’impegno della Cooperazione in un ambito, quello dell’acqua, da sempre al centro della sua attenzione. 

Nei giorni del Forum, AICS ha partecipato a due panel tematici: “Towards action: maximize the inclusion of youth, migrants and women into rural development and mitigate the water related root-causes of migration, (22 Marzo) e "Water Productivity for Food Security”, (23 Marzo).
Anche il programma degli eventi presso lo stand dell'Agenzia ha visto momenti che hanno aperto vere e proprie finestre sull’attività della Cooperazione italiana nel mondo. Tra i protagonisti attesi lo chef italo-senegalese Omar Ngom che ha proposto una degustazione di finger food realizzati a partire da prodotti locali. L’associazione di cultura urbana Africulturban, creata dal rapper Matador, a raccontarsi e raccontare il lavoro condotto insieme ad Aics per valorizzare i talenti senegalesi. Inoltre, spazi dedicati al dibattito ed esibizioni di artisti come Fula e Leuz, che hanno partecipato alla realizzazione del documentario Feneen, un viaggio nella realtà urbana musicale contemporanea senegalese. L'evento "L'Acqua sacra. Simboli e tradizione in Senegal" a cura di Tiziana Bruzzone della Sede Aics di Dakar.

Inoltre, al nostro stand, la Fondazione CIMA, Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale, ente di ricerca fondato dal Dipartimento della Protezione Civile Italiana, specializzato in rischio ambientale, ha illustrato ai visitatori le attività dei progetti in Italia e nel mondo.

A fare da filo conduttore a tutti questi eventi è stato ovviamente il tema dell’acqua, un bene comune per eccellenza.

AICS finanzia 52 imprese della diaspora attraverso il programma PLASEPRI/PASPED

Una giornata importante quella del 9 marzo scorso per la cooperazione fra Italia e Senegal all'insegna delle opportunità per la diaspora senegalese che ha deciso, nel corso del 2021 attraverso il bando europeo « Investo in Senegal », di investire nel proprio Paese di origine. Alla presenza dell'Ambasciatore d'Italia, M. Giovanni Umberto de Vito, del Capo della Cooperazione della Delegazione dell'Unione europea di Dakar, Mme Dorota Panczyk, del Delegato generale all'imprenditoria rapida, M. Papa Amadou Sarr, del Direttore di AICS Dakar, M. Marco Falcone e della vice-Direttrice di AMREF Mme Roberta Rughetti, gli imprenditori e le imprenditrici della diaspora che sono stati accompagnati e finanziati nell'ambito del programma PLASEPRI/PASPED hanno partecipato alla cerimonia di firma dei contratti di sovvenzione.

Sono 52 i progetti ammessi al finanziamento (sovvenzionati da AICS/PASPED fino a 30.000 EUR) per un valore complessivo di 1 122 000 EUR, in sei regioni. Una nuova generazione della diaspora quella che si affaccia a questo tipo di opportunità: donne e uomini ingegneri, agronomi, economisti aziendali, artigiani del legno made in Italy, sono solo alcuni dei profili e delle competenze coinvolte attraverso l'opportunità « Investo in Senegal » e che ieri sono arrivati alla conclusione del percorso di selezione firmando i contratti di sovvenzione con AICS Dakar nell’ambito del programma PLASEPRI/PASPED.

Alcuni numeri raccontano più di tante parole questa opportunità : il 23% delle imprese beneficiarie sono costituite da soci che hanno meno di 35 anni ; il 46 % da donne e il 67% degli imprenditori e delle imprenditrici ha un livello di formazione universitario o, comunque, un diploma di formazione professionale.

Una nuova generazione della diaspora, quindi, che ha raccolto una vera e propria sfida tra i due Paesi e che costituisce, allo stesso tempo, un ponte tra due mondi che hanno avuto la capacità, in questa bella esperienza, di valorizzare positivamente la collaborazione tra istituzioni, società civile, settore privato sia in Italia che in Senegal.

di Francesco Mele
Esperto co-sviluppo e impiego giovanile PASPED

L’impegno di AICS a promuovere la parità di genere attraverso la lotta alle Mutilazioni genitali femminili in Africa Occidentale

Oggi, 6 febbraio, si celebra la giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili (MGF), un fenomeno che è diffuso soprattutto in Africa, ma presente in tutti i continenti.  Le MGF, secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), sono tutti quei procedimenti che comportano la parziale o totale rimozione dei genitali femminili esterni, o altre lesioni agli organi genitali femminili per ragioni diverse da quelle mediche. Tali pratiche hanno serie conseguenze sulla salute delle donne nel corto e nel lungo termine: al di là del dolore e del trauma psicologico – che può indurre a patologie come il disturbo post traumatico da stress –, si aggiungono il rischio di infezione e setticemia che possono condurre al rischio di perdita del piacere sessuale e/o dolore nell’avere rapporti, problemi urinari, complicazioni durante il parto ed infertilità e in alcuni casi, morte.

Nell’Africa dell’Ovest, varie convenzioni sono state adottate per bandire tali pratiche, ma ancora una media del 50% delle donne le subisce[1].  In Senegal e Gambia esiste anche una legislazione nazionale che vieta le MGF. Ciononostante, rispettivamente il 24% in Senegal (EDS 2017) e il 73%  delle donne in Gambia (DHS 2019-2020) hanno subito la rimozione –parziale o totale – del clitoride. In altri casi, come in Mali, dove non esiste una legislazione nazionale, nel 2017, la percentuale ha superato il 90% delle donne tra i 15 e i 49 anni.[2]

L’AICS Dakar, attraverso i suoi progetti a livello regionale, promuove l’uguaglianza di genere, l’empowerment femminile e l’eradicazione della violenza contro le donne e le ragazze.

In Mali, finanziando UNFPA, l’AICS vuole porre fine alla violenza contro le donne: grazie a questo intervento, nel 2022, è previsto che 100 comunità abbandoneranno le pratiche di MGF.

In Gambia, tramite il progetto PAPEV, l’AICS promuove la protezione dei diritti dell’infanzia attraverso un programma regionale volto a rafforzare i meccanismi di coordinamento tra i paesi dell’Africa dell’Ovest, per tutelare i bambini e le bambine con anche attività di sensibilizzazione riguardanti le MGF.

In Senegal AICS appoggia sia il governo, nella messa in pratica della strategia nazionale d’uguaglianza di genere - PASNEEG II -, sia l’ONG Cospe con il progetto Essere Donna a Sedhiou. Entrambi gli interventi ricorrono alla sensibilizzazione comunitaria, tramite campagne radio, spot teatrali ed eventi comunitari. Queste azioni coinvolgono leader religiosi e comunitari, reti di giovani, giornalisti e membri della società civile nelle regioni meridionali di Sédhiou e Kolda – che sono tra quelle con i più alti tassi di MGF (pari rispettivamente a 75,6 e 63,6%). La collaborazione con il Ministero della donna della famiglia, del genere e della protezione dell’infanzia (MFFGPE) fa sì che gli esperti AICS partecipino alla validazione politica della Strategia Nazionale per l’abbandono dell’escissione (2022-2030) e del suo piano d’azione (2022-2027).

Per i 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere (dal 25 novembre al 10 dicembre), l’AICS, in partenariato con la Delegazione dell’Unione Europea, il Canada, UNICEF, ONU Femme, si è impegnata in una campagna contro gli stereotipi di genere, commissionando ritratti di vari attivisti, tra cui Hyacinthe Coly, Segretario esecutivo del Réseau de jeunes pour la promotion de l’abandon des mutilations génitales féminines et de mariages des enfants.

In conclusione, AICS si impegna con un approccio olistico per raggiungere la parità di genere e porre fine alla violenza contro le donne. Ciò non può essere raggiunto senza un serio impegno a porre fine alle MGF, per cui la strategia adottata è da un lato, la sensibilizzazione a livello comunitario e dall’altro, l’advocacy a livello nazionale.

Livia Cesa

[1] OECD, 2018, Selon une nouvelle étude de l'OCDE, la lutte contre les institutions sociales discriminatoires profitera aux économies ouest-africaines, https://www.oecd.org/fr/csao/infos/lutte-contre-institutions-sociales-discriminatoires-profitera-aux-economies-ouest-africaines-etude-ocde.htm

[2] Andro, A. & Lesclingand, M. (2017). Les mutilations génitales féminines dans le monde. Population & Sociétés, 543, 1-4. https://www.cairn.info/revue-population-et-societes-2017-4-page-1.htm?ref=doi

Khaira Thiam

 

Dialoghi di attivismo con Khaira Thiam, psicologa clinica senegalese, specialista in patologia psichiatrica e criminologia clinica, attivista femminista. Dopo aver completato i suoi studi e una parte della sua carriera professionale in Francia, da 5 anni è tornata in Senegal dove ha il suo studio di psicoterapeuta e dove lotta quotidianamente per i diritti delle donne.

Come psicoterapeuta, la Dott.ssa Thiam lavora molto sulle conseguenze della violenza psicologica, un tipo di violenza che è difficile da individuare, soprattutto nelle sue fasi iniziali, ma che è riconoscibile a seguito dei danni che produce, siano essi psicologici, fisici o emotivi.

In Senegal, tra agosto e dicembre 2020, nelle quattro Boutiques des droits di Dakar, Thiès, Kaolack e Kolda sostenute dai progetti PASNEEG I e PASNEEG II, grazie all'Associazione delle giuriste senegalesi (AJS) sono state effettuate 3.253 consulenze legali, di cui 156 per casi di violenza psicologica. In collaborazione con l’AJS e con il sostegno dell'Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, le Boutiques des droits sono state create per promuovere e proteggere i diritti della popolazione più vulnerabile fornendo gratuitamente supporto legale e giudiziario e assistenza psicosociale.

Nonostante sia complesso dare una definizione specifica e assoluta della violenza psicologica, in quanto è una violenza che dipende anche dal soggetto che la subisce, la Dott.ssa Thiam precisa che questa forma di violenza si ritrova sistematicamente nelle situazioni di abuso, che sia da parte dei genitori, in un rapporto di coppia, sul lavoro, tra amici, per strada, ecc. ....

Secondo Thiam, un esempio pratico e molto comune di violenza psicologica in Senegal è rappresentato dal carico mentale che le donne devono sopportare quando decidono cosa indossare in pubblico. Il modo in cui si vestono può farle sentire a disagio per la strada a causa di molestie, catcalling e rischio di aggressioni. Per questo motivo, ogni donna ha un approccio diverso che influenzerà il suo comportamento: c'è ad esempio chi preferisce indossare il velo per sentirsi più protetta (senza avere una vera motivazione religiosa), chi usa i vestiti come segno di protesta e chi preferisce non uscire ed evitare gli spazi pubblici.

In questo senso, la società senegalese non comprende appieno le ripercussioni che subiscono le donne vittime della violenza e del patriarcato. “Siamo in una società che permette agli uomini, tramite il loro sguardo, di classificare le donne: è una donna facile, è una brava ragazza. Sono gli uomini che lo dicono, non le donne che si autodeterminano”, spiega Thiam, aggiungendo che “questa violenza psicologica segue lo stesso meccanismo della colonizzazione: gli uomini colonizzano lo spazio pubblico, occupano lo spazio psicologico delle donne e, di conseguenza, la loro salute mentale”.

Inoltre, nel suo ruolo di psicologa clinica, la Dott.ssa Thiam nota come raramente sia riconosciuto l’impatto fisico della violenza psicologica, sia per gli uomini che per le donne. In Senegal ci sono molte persone che vivono con un disturbo somatico (mal di schiena, emicranie, stitichezza, ecc.) che ha un’origine psicologica.

Per questo motivo, Thiam non ama il termine "violenza di genere" perché questo termine riduce troppo la portata della questione.

Per esempio, quando si parla di violenza coniugale, bisogna anche prendere in considerazione gli effetti della violenza sui figli della coppia che, a un certo punto, possono riprodurre il comportamento del/della maltrattante o del/della maltrattato/a o sviluppare tutta una serie di problematiche conseguenti. La violenza domestica si manifesta in modi diversi.

Un altro esempio è l'incesto. Oggi in Senegal, come in altri paesi europei, non esiste una legge specifica che regoli i casi di incesto. Il codice penale regola lo stupro e la pedofilia (articolo 320) ma non l'incesto: uno stupro che può avvenire solo nel contesto famigliare.

L'incestualità, in psicologia clinica e psicoanalitica, è un'atmosfera in cui gli spazi personali non sono ben definiti, le intimità non sono rispettate, il corpo dell'altro è permanentemente disponibile. Oggi in Senegal l'incesto non è preso in considerazione nel codice penale né nelle politiche relative all'infanzia e questo ha delle ripercussioni sul benessere psicologico degli adulti di domani.

Inoltre, la violenza psicologica colpisce sia gli uomini che le donne. Dei 156 casi di violenza psicologica trattati dalle Boutiques des droits, 23 riguardano uomini. Negli ultimi 20 anni, con lo sviluppo delle strutture economiche, il contesto sociale senegalese è cambiato molto, spostandosi verso l'individualismo a scapito del concetto di "grande famiglia". Se da un lato, i senegalesi vivono da soli e hanno perso le comodità delle grandi case famigliari (un posto dove stare, cibo, condivisione di responsabilità e spese economiche), dall'altro, la solitudine ha rafforzato le forti pressioni provenienti dalla famiglia estesa. Queste pressioni e aspettative possono causare molta frustrazione e scatenare comportamenti aggressivi e problemi di dipendenza: il Senegal è il quarto paese dell'Africa occidentale per consumo di alcol, e le droghe (marijuana, cocaina, LSD, “droga dello stupro”) sono molto diffuse tra i giovanissimi. Ci sono anche altri comportamenti additivi che sono tabù, soprattutto se sono gli uomini a commentarli, come l'ipersessualità che ha conseguenze come lo sconforto, gravidanze precoci e l’infanticidio.

A tal fine, è sempre più urgente promuovere l'adozione da parte delle comunità di atteggiamenti, comportamenti e pratiche favorevoli alla non discriminazione, alla lotta contro le disuguaglianze e alla salvaguardia dell'integrità fisica e psicologica delle popolazioni, comprese le donne e le ragazze.

Per questo motivo, il governo italiano continua la sua collaborazione con il Senegal nell'attuazione della Strategia Nazionale per l'Equità e il Genere 2016 - 2026 (SNEEG). Con la prima fase del progetto PASNEEG I (2015-2019), si sono registrati importanti risultati nel rafforzamento e nella creazione delle cinque Boutiques des droits in partenariato con l'Associazione delle giuriste senegalesi (AJS) nelle regioni di Dakar, Thies, Kaolack, Kolda e Sédhiou e nell’applicazione del gender budgeting. Con il PASNEEG II, l’Italia e il Senegal vogliono capitalizzare e modellare le buone pratiche realizzate con la prima fase del progetto. La collaborazione prevede, tra l’altro, l'armonizzazione delle disposizioni di alcune leggi e regolamenti nazionali con gli impegni internazionali che il Senegal ha sottoscritto e il sostegno al cambiamento delle norme e dei modelli sociali e culturali che legittimano la discriminazione, la violenza e le pratiche tradizionali dannose contro le donne e le ragazze.

A tal fine, la Dott.ssa Thiam ha sottolineato l'importanza di mettere la questione dei diritti delle donne al centro del discorso politico attraverso l'azione di rappresentanti femminili negli organismi politici. Anche se il Senegal ha fatto progressi significativi in termini di partecipazione politica grazie all'adozione della legge sulla parità (2010), che ha contribuito a rafforzare la leadership delle donne nell'assemblea nazionale e nelle comunità locali, la parità è ancora lontana dall'essere raggiunta. Per esempio, dei 557 comuni del paese, solo 13 sono amministrati da donne e la loro azione è spesso limitata alla mobilitazione dei sostenitori o alla conduzione di comizi, quindi ben lontano da dove si decidono le strategie politiche. L’approccio " women voice " è uno dei pilastri delle linee guida (2020-2024) della cooperazione italiana per l'empowerment delle donne, che mira a porre le donne e le ragazze al centro dei processi decisionali per promuovere un cambio di paradigma in tutti i settori dello sviluppo sostenibile.

A cura di Eugenia Pisani

Ndiaxass culinari: un viaggio fatto di immagini, sapori e persone per scoprire il Senegal attraverso i piatti di sei chef

Senegal: sei prodotti del territorio, sei chef residenti nel paese, sei ricette che mescolano tradizione e nuove influenze. Questi gli ingredienti di «Ndiaxass culinari», un progetto di comunicazione internazionale realizzato nell’ambito del programma di cooperazione delegata, Pacersen Bis.

Ndiaxass, in wolof, significa, “mix, patchwork”, tasselli di diversa natura che danno vita a risultati unici, nuovi. Il progetto ha voluto dare voce al Senegal odierno, fatto di storie e persone provenienti da orizzonti ed esperienze differenti ma unite dalla voglia di riscoprire le tradizioni, creando e innovando. Un paese in movimento, al centro certo di innumerevoli sfide, ma che vuole mostrarsi in tutta la sua prorompente energia.

Fonio, melanzana amara, tamarindo, bissap, farina di arachidi sono solo alcuni dei protagonisti di questo viaggio in sei puntate per parlare di sostenibilità, agricoltura, esperienze migratorie e professionali, valorizzazione del territorio, progettualità.

Bounama Coulibaly è chef in una struttura nota del Sine Saloum, regione molto amata sia dai senegalesi che dai turisti. Una vita dedicata alla passione per la cucina, alcune esperienze professionali in altri paesi africani e la voglia di presentare ai clienti i piatti tipici della tradizione.

Omar Ngom ha vissuto, invece, a cavallo tra Senegal e Italia, dove ha imparato il mestiere di cuoco. Un amore, il suo, per il dettaglio, la precisione, per un gusto, oltre che culinario, estetico. Da qualche anno Omar è tornato a Dakar dove ha voluto fare tesoro della sua esperienza, proponendo piatti della tradizione italiana rivisitati con prodotti del territorio.

Alessandro Merlo è uno chef italiano, formatosi in grandi capitali del mondo e che da anni vive in Senegal. Per lui la parola d’ordine è l’eccellenza. Un’eccellenza che passa dalla qualità dei prodotti e del servizio. Nella puntata a lui dedicata ha voluto presentare un piatto che è l’incontro di due ingredienti tipici della cucina senegalese e italiana, lo jaxatu (melanzana amara) e la mozzarella di bufala.

Hitomi Saito è una chef giapponese formatasi a Parigi e ora residente a Dakar. La sua è la storia di una passione e di un costante miglioramento. La sua cucina, salutare e semplice, si basa su prodotti del territorio a cui aggiunge la sapienza di alcuni ingredienti del suo paese d’origine, il Giappone.

Tamsir Ndir è considerato un’istituzione, a Dakar. Chef e animatore culturale, racconta con emozione il suo percorso per diventare chef, nonostante le reticenze familiari. Racconta le esperienze e anche i fallimenti, i viaggi e il desiderio di tornare in patria. Un percorso che gli ha permesso di diventare tra gli chef maggiormente apprezzati del panorama senegalese, soprattutto per il suo impegno nel valorizzare una cucina tradizionale, ad immagine di quella della madre.

Ad accompagnarci in questo viaggio culinario e umano, Raoul Coly, chef e animatore TV. Lo chef Coly conduce una trasmissione intitolata “Rendez-vous” su Canal Plus Afrique e dedicata alla scoperta dei differenti paesi africani attraverso le loro tradizioni culinarie.

Ndiaxass culinari al di là di presentare persone che fanno cose, piatti della tradizione e prodotti locali, vuole sradicare i più comuni stereotipi legati al continente e che condizionano spesso un immaginario poco realista. Il progetto vuole contribuire, con immagini e contenuti nuovi, alla costruzione di quel concetto di afro-responsabilità spiegato magistralmente da Hamidou Anne in Foo Jem.

Ndiaxass culinari è stato lanciato nell’ambito della scorsa edizione di Terra Madre, Salone del gusto.

A cura di Chiara Barison